Alda Merini ci stupisce ancora con una citazione molto famosa. Fa effetto e, al tempo stesso, spinge ad una riflessione profonda per “l’effetto sorpresa” che riserva alla fine. Non ci si aspetterebbe, di certo, una negazione: quel “non” in riferimento ad una “scelta-non scelta”.    A una sorta di processo razionale naturalmente più complicato. Si pensi alla fatica che ci vuole a discernere quali vocaboli soppesare, unire e donare agli altri in relazione ai numerosi momenti della vita, così estremamente diversi gli uni dagli altri. Pensate… qui si sta chiedendo di scegliere, nelle infinite possibilità espressive, le parole da eliminare: da tenere semmai in mente ma da non pronunciare mai.

Mi chiedo… in un mondo in cui il sovraffollamento linguistico va di pari passo con lo “svuotamento concettuale e semantico” dei nostri pensieri (persistenza della tecnologia, della politica del “tutto e subitissimo”, dell’utilizzo dei sostituti anglosassoni per velocità, e apparente immediatezza, a discapito della profondità riservata al “toscano”) è più semplice salvare o eliminare con un click? Tenere dentro,  o buttar fuori ad ogni costo? E se la parola che pensavamo giusta, in realtà, non è poi tanto “giusta”? Ma… giusta per chi? Per gli altri? Per noi stessi? Tanto valeva, forse, non porsi affatto il problema e procedere come la maggioranza (senza offesa per nessuno) dando “fiato alla bocca”, scoccando dardi infuocati come se non ci fosse un domani. Ma si può essere, invece,  quella minoranza che ancora crede alle parole “punte affilate”? Che ritiene si possa ferire anche dietro uno schermo?

La risposta è “sì, senza dubbio”. L’importante, come dice Merini, sta nel metterci Cura.      Cura con la C maiuscola. Quella, per capirci, di cui parla anche Battiato nell’omonima canzone. La c-minuscola serve solo ad appiattire il senso del curare, del prendersi e del metterci cura. Quello che sicuramente non intende la poetessa, per anni sottoposta a “cure con la c minuscola” in manicomio, tra maltrattamenti vari e condizioni disumane.

Prima di tutto occorre ricordarci che le parole “mettono in comunicazione” dal principio, dalla loro nascita. A un capo c’è una persona, all’altro c’è qualcun altro. Non per forza si tratta di un diverso individuo, poiché quell'”altro” potremmo benissimo essere noi. Ciò che fa bene agli altri fa bene a noi, e viceversa. Non voglio fare retorica, tutti lo sanno. “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, diceva qualcuno.

E allora ecco la ricetta per trovarsi in quella “minoranza” che ci tiene, che nutre Cura. Avere uno sguardo al NON (in altri termini, anticiparsi pensando alle conseguenze dell’azione sugli altri e se stessi) e alla CURA (mettendo il cuore, come ricorda l’etimologia), che da se porta all’alterità.

Perché comunicare bene è un favore che si fa a se stessi (Vera Gheno) e non bisogna dimenticarlo mai!

Andrea Gabossi

parole parole

Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire

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